La morte per i buddhisti

La morte per i buddhisti

Quando la vita ci presenta uno dei suoi tanti conti e ci ritroviamo costretti a vivere un momento come la morte di un nostro caro, trovare degli spazi di riflessione concreti in grado di mostrarci numerose prospettive è essenziale per non sentirsi soli nel dolore, nella perdita, nell’abbandono.
Tutti, in tutto il mondo, ne hanno esperienza e come in ogni cosa la cultura non può che influire nel modo di affrontare la situazione, in special modo quella relativa al proprio credo religioso.
Se vi doveste trovare in questo tragico momento vi consiglio di rivolgervi all’agenzia Cattolica San Lorenzo, un’impresa funebre a Roma, in grado di mettere a vostra disposizione quanti più strumenti e soluzioni disponibili.
Nonostante la morte sia qualcosa di ovvio tanto quanto la luce del giorno che arriva dopo il buio della notte, in realtà tale semplicità viene meno nel momento in cui affrontiamo la mortalità, qualcosa che fa parte ed è caratteristica dell’esistenza e che i buddhisti chiamano impermanenza.

Cos’è l’impermanenza

Si tratta di quel principio che riesce ad incarnare uno degli aspetti centrali del buddhismo: la consapevolezza.
In questo caso essi non fanno che intendere il naturale corso delle cose concependo l’intero universo e gli esseri che vivono in esso come fittamente collegati agli avvenimenti che poi si scaturiscono o che essi stessi scaturiscono.
Risulta incarnare tutto ciò di cui facciamo esperienza e del modo in cui questo modifica tanto il nostro io interiore, quanto il nostro aspetto esteriore.
La morte, dunque, non è di per sé giusta o sbagliata, né un fallimento o una punizione ma, al contrario, un fatto naturale che tutti sperimenteremo in quanto esseri naturali.

La paura della morte

Nonostante questa consapevolezza che, buddhisti o meno, tutti dobbiamo raggiungere, l’uomo tende ad essere comunque spaventato, la paura della morte è proprio una delle paure fondamentali.
Gli insegnamenti del Buddha invitano infatti ad esplorare questa paura con apertura, lasciando che emerga, che ci spaventi, che ci soffochi, al fine di imparare a convivere con l’unica certezza che possediamo: una volta nati, moriremo.
Nel frattempo siamo sopraffatti dalle incertezze, relative al luogo in cui viviamo, ai tempi, alle situazioni, ma in ogni caso questa costituisce la certezza per eccellenza ed è per questo che dobbiamo imparare a conoscerla e ad utilizzarla come pretesto per vivere una vita priva di rimpianti, dolori inutili, sofferenze autoindotte.
Secondo i praticanti, dunque, riflettere sulla morte è una pratica che va svolta quotidianamente.